Growth Hacking: il segreto del successo di Airbnb, Instagram e Dropbox!
Negli ultimi mesi si sente sempre più parlare nel mondo del marketing e delle startup di growth hacking.
Ho scoperto il growth hacking ormai più di un anno fa e visto il crescente interesse per questo argomento ho deciso di creare questo contenuto che nel corso del tempo cerco di aggiornare.
Sono ormai arrivato alla quarta revisione di questo articolo che inizialmente era circa di 1700 parole, mentre oggi ha raggiunto quota 6000 parole!!!
Quindi auguri per questa lettura, spero tu abbia molto tempo a disposizione 😀
Il “movimento” del growth hacking ha avuto origine nella Silicon Valley (tanto per cambiare), mentre il termine è stato coniato da Sean Elliss, l’uomo che si cela dietro al grande successo di Drop Box, ma anche di altre startup d’oltre oceano.
Per i più impavidi qui lo storico articolo in lingua inglese scritto da Sean.
Per chi invece è meno impavido e più pigro spenderò due parole per spiegare in breve le ragioni che spinsero Sean Ellis a scrivere questo articolo nell’ormai lontano 2010.
Come detto Sean, ha lavorato e fatto consulenze a diverse aziende a startup della Silicon Valley.
Durante il proprio periodo di lavoro cercava quindi di creare tutte le condizioni necessarie per avviare un processo di crescita attraverso il growth hacking, attivava questo processo e dopo averne verificato l’efficacia ed il funzionamento cercava chi lo avrebbe sostituito.
Il problema era che nell’atto di effettuare dei colloqui Sean si trovava molto spesso davanti dei candidati con degli ottimi background di marketing, ma che non avevano assolutamente una mentalità da growth hacker.
In effetti le differenze tra il traditional marketing ed il growth hacking sono enormi, come vedremo nel corso di questo lunghissimo e completissimo post.
In effetti Sean aveva chiesto degli esperti di marketing e degli esperti di marketing aveva ottenuto!
Fu proprio in questo momento che Sean si accorse l’esigenza di definire il growth hacking come processo, mindset e professione.
Cos’è il growth hacking?
Iniziamo quindi subito a rispondere al quesito principale di questo articolo e facciamo subito un po’ di chiarezza sull’argomento.
È piuttosto difficile dare la definizione di una parola che descrive una disciplina di cui non esiste il cosiddetto “manuale delle istruzioni”.
Il modo in cui Sean Ellis definisce il growth hacking ad esempio è questo:
“Quando una startup è pronta ad iniziare la propria scalata, la sfida più grande è spesso assumere qualcuno in grado di guidare questa crescita. Un esperto di marketing con determinate capacità ed il giusto approccio può sicuramente portare ottimi risultati una volta che il Product Market Fit ed un efficiente processo di conversione/monetizzazione sono stati testati.”
O ancora:
“Ritengo che uno dei compiti più importanti per un growth hacker sia migliorare la user experience… alla base di una crescita sostenibile vi dovrebbe essere infatti l’offerta di un esperienza preziosa per l’utente. Un’esperienza preziosa è quella che porta alla fase di retention. Senza retention non c’è crescita.”
Perché ho fatto questa puntualizzazione?
Semplicemente perché la maggior parte di definizioni che si trovano online sul growth hacking sono sbagliate o magari tendono a focalizzarsi su aspetti secondari.
In effetti se provi a fare una breve ricerca su Google ti renderai conto nell’immensità di articoli, guide, e-book e libri scritti da tanti fantomatici esperti e guru, che però non centrano in pieno i valori di base del growth hacking.
Vediamone alcune:
“Un growth hacker è un hacker il cui obiettivo è di far crescere il numero di utenti per un prodotto specifico.”
Mattan Griffl“… il punto di forza di un growth hacker è la propria abilità di focalizzarsi su un singolo obiettivo. Ignorando quasi tutto, si può perseguire il risultato che conta di più: la crescita”
Neil Patel“[Un growth hacker è] Colui il quale ripone attenzione e passione nel far crescere una metrica attraverso l’uso di una metodologia verificabile e scalabile.”
Aaron Ginn
Avrai quindi notato come in tutte queste definizioni vengano lasciati fuori proprio i due concetti basilari citati da chi il growth hacking invece lo ha definito per la prima volta: il Product Market Fit e la User Experience.
Credo che si possa probabilmente affermare che chi ha creato il termine growth hacking abbia una visione più olistica della sua metodologia rispetto a chiunque altro abbia voluto dare la propria versione del fenomeno.
Non voglio certo incolpare nessuno degli esperti sopracitati, che ritengo abbiano senza dubbio voluto esprimere il proprio interesse per una novità in ambito marketing davvero molto figa.
Inoltre, va riconosciuto come questi abbiano contribuito a far crescere interesse e a fornire comunque informazioni utili su questo fenomeno, ma ad ogni modo credo che fosse una puntualizzazione che andasse fatta.
Quindi a questo punto posso dare anche io la mia definizione di growth hacking targata Fabio Morelli.
Almeno questa è corretta. E non lo dico io eh! Lo dice Sean Ellis 😉
Il growth hacking si configura come quel mix perfetto tra prodotto, User Experience e marketing.
Fabio Morelli
Volendo però descrivere maggiormente il fenomeno del growth hacking lo si può fare definendolo come quell’approccio professionale di marketing che:
- Enfatizza al massimo la perfezione del prodotto e del servizio da lanciare sul mercato al fine di raggiungere il Product Market Fit (PMF). Questa viene considerata come la forma principale di marketing da utilizzare. Infatti, un prodotto che risponde veramente alle esigenze degli utenti ha più probabilità di avere successo;
- Cerca di fornire all’utente un esperienza unica, in modo da soddisfarne a pieno i propri bisogni e porre le basi per la fase di Retention;
- E’ un mix di creatività, genialità e pazzia;
- Utilizza soprattutto un mindset differente nell’approcciare i problemi e pensare a delle soluzioni;
- Si basa in maniera quasi maniacale sull’analisi e lo studio dei dati per prendere decisioni.
E se proprio vogliamo individuare quella caratteristica principale che differenzia il growth hacking ed i growth hackers dai professionisti in ambito marketing questa è proprio quel particolare tipo di mindset precedentemente menzionato.
Il mindset del growth hacker quindi, si concretizza come l’approccio da adottare nel modo di studiare i problemi, individuare soluzioni e soprattutto perseguire gli obiettivi di crescita.
E per un growth hacker tutto o quasi è permesso al fine di raggiungere la crescita della propria azienda o startup.
Anche per questo i growth hackers sono definiti come i pirati del marketing!
No in realtà questo non è l’unico motivo, ma parleremo del secondo tra poco.
Cos’è il Product Market Fit
Poco fa abbiamo introdotto il concetto di Product Market Fit (PMF), ma cos’è esattamente?
Con questa dicitura, molto popolare nel vocabolario dei growth hacker, si intende un prodotto che è veramente in grado di soddisfare dei bisogni specifici e di cui le persone non possono fare a meno dopo averlo provato.
Un esempio perfetto di PMF potrebbe essere l’iPhone.
Come puoi capire quindi se il tuo prodotto/servizio ha raggiunto il livello di PMF?
La tecnica più famosa è la regola del 40%. Questa regola, che ancora una volta è stata teorizzata da Sean Ellis, prevede di intervistare i tuoi clienti attuali. Se da questa intervista risulterà che almeno il 40% di essi si riterrebbe fortemente deluso dal fatto di non poter utilizzare pi il tuo prodotto allora vuol dire che hai raggiunto il PMF.
Il mindset dei growth hacker
Il growth hacking è prima di tutto un mindset. Con questo intendo dire che i growth hacker hanno un modo di guardare ai problemi e concepirne delle soluzioni totalmente differente e “out of the box”.
Per farti capire meglio cosa si intende con l’avere un mindset da growth hacker voglio citarti un esempio che in realtà non ha niente a che fare con il marketing o il mondo digitale.
Questo esempio parla infatti di hot dog.
Esatto, hai capito bene: hot dog.
Questa storia vede come protagonista Takeru Kobayashi, un ragazzo giapponese che, nel 2001, durante una gara per così dire “a chi si mangia più hot dog”, non solo riesce a vincere la competizione, ma è in grado persino di doppiare il record dell’anno precedente di “solo” 25 hot dog.
Una cosa pazzesca penserai!
Ma come ci è riuscito?
Semplicemente grazie ad un approccio differente, che nessuno prima di quel momento aveva utilizzato.
Prima di tutto prima della competizione Takeru si chiuse per alcuni mesi in casa e si allenò per la gara.
Durante questo periodo di allenamento sperimentò diversi approcci e strategie che gli permettessero di mangiare quanti più hot dog possibili e ne misurò le prestazioni.
Dai risultati dei suoi allenamenti quando Takeru si presenterà alla gara era già certo della vittoria.
Quel fatidico giorno Takeru travolse tutti gli avversari, vincendo la gara e doppiando il record dell’anno precedente che era stato di “solo”25 hot dog.
Come ci è riuscito?
Takeru separò il wurstel dal pane, perché più facile da mangiare, per poi inzuppare il pane nell’acqua, l’unico elemento extra concesso durante la gara.
In questo modo ottenne una poltiglia semplicissima da mangiare e deglutire in maniera veloce, dato che in fin dei conti è proprio il pane l’elemento che richiede più tempo per essere mangiato ed ingoiato.
Grazie a questa idea, come detto, Takeru riesce a stracciare gli altri partecipanti ed ad aggiudicarsi la vittoria.
Questo è un mindset da growth hacker e per questo motivo per me Takeru è un growth hacker.
Chi sono i growth hacker
Non esiste una traduzione letteraria del termine “growth hacker” in italiano. Per questo molti traducono questo termine con “pirata del marketing” o eventualmente utilizzando una traduzione a metà come potrebbe anche essere “hacker della crescita”.
Tornando al discorso anticipato precedentemente, il secondo motivo per cui i growth hacker vengono definiti in questo modo riguarda il cosiddetto “funnel del pirata”.
Il funnel del pirata, il cui acronimo è A.A.R.R.R, si compone quindi di 5 fasi nella sua versione tradizionale ed effettivamente provandolo a leggere suona proprio come il verso di un pirata.
La sigla sta per Aquisition, Activation, Retention, Referral e Revenue, ma analizzeremo questo modello nello specifico nel prossimo paragrafo 😉
I growth hacker possiedono un mix di conoscenze in ambito digital marketing, con almeno un paio di ambiti in cui possono considerarsi degli esperti.
Per questa ragione vengono definiti come dei professionisti di tipo “T-shaped”, ovvero a forma di T.
Quei settori di cui possiedono una buona padronanza definiscono quindi la parte orizzontale della propria T, mentre i settori in cui sono dei guru definiscono la parte orizzontale.
Marketing VS Growth Hacking
Come sottolineato sin ora sono effettivamente diverse le differenze sostanziali tra growth hacking e marketing tradizionale.
Queste differenze risiedono sia nel modo di lavorare che nelle skill dei marketer appartenenti alle due categorie.
Scopriamo quindi insieme quali sono le maggiori differenze tra growth hacking ed il traditional marketing.
Il mindset
La prima grossa differenza riguarda proprio la mentalità di un marketer tradizionale e quella di un growth hacker.
Se infatti noi growth hacker tendiamo ad essere creativi, innovativi e a pensare fuori dagli schemi nel pianificare approcci e strategie, i marketer tradizionali tendono invece a rifarsi alle classiche best practices e a canali di promozione canonici, ma anche costosi come TV, giornali, radio ecc.
Focus
La seconda differenza riguarda il focus e l’obiettivo del lavoro di questi due tipo di professionisti del marketing.
Se infatti nel growth hacking si cerca di creare un prodotto che sia veramente in grado di rispondere a delle esigenze specifiche, i marketer tradizionali non si interessano della qualità del prodotto in sè, ma semplicemente di trovare nuovi utenti a cui vendere.
Di conseguenza i growth hacker, seguendo il modello del funnel dei pirati (che ti spiegherò nel prossimo paragrafo) partecipano a tutte le fasi includendo la creazione del prodotto, il lancio, l’acquisizione di utenti e la gestione degli stessi nel post vendita. Al contrario, nel traditional marketing seguendo il modello AIDA ci so focalizza solamente sui momenti di Awareness e Acquisition.
Background
Se come visto poco fa un growth hacker possiede un mix di conoscenze molto variegato, soprattutto in ambito web marketing, rendendolo un professionista T-shaped, il background di un marketer tradizionale è legato soprattutto alla costruzione e pubblicizzazione di un brand e a tecniche di vendita, con eventualmente un infarinatura dei principi di digital marketing.
Il funnel dei pirati
Una versione più innovativa del modello adottata dagli amici di Growth Tribe considererebbe poi una terza “A” relativa alla fase di “Awareness”.
Questa nuova versione è stata introdotta nel 2016 da quelli di Growth Tribe.
Qualche tempo fa ho chiesto a David Arnoux di Growth Tribe il perché di questa aggiunta e la ragione è legata al fatto che la fase di Acquisition è stata sempre considerata come un mix tra “arrivare su un sito web + registrazione”; con l’introduzione del nuovo modello invece questi momenti sono distinti, con l’arrivo sul sito web da parte dell’ utente che rientra nell’Awareness, mentre invece la prima interazione tra utente e sito (registrazione alla newsletter, download di un e-book ecc.) rientra nell’Aquisition.
A proposito, come introduzione al growth hacking potresti trovare molto interessante questo speech sul growth hacking di qualche anno fa tenuto proprio da David Arnoux.
David descrive il growth hacking come una forma innovativa di marketing fortemente data driven e product driven e quindi molto vicina alla concezione di Sean Ellis.
Ad ogni modo, tornando al funnel dei pirati, la differenza tra il modello tradizionale e quello aggiornato da Grow Tribe è sottile e ad ogni modo la validità del funnel dei pirati varia di azienda in azienda come vedremo.
Awareness
Il momento dell’Awareness ha quindi come obiettivo quello di far conoscere il tuo business ed i tuoi prodotti a dei potenziali clienti.
Canali promozionali come TV, radio ed annunci pubblicitari sono la modalità tradizionale per creare Awareness. Tuttavia, il problema fondamentale di questi canali è che si riferiscono a tutte le persone, anche quelle che non hanno nessun interesse per i tuoi prodotti, oltre ad avere anche dei costi elevati.
Il modo in cui è concepito l’Awareness all’interno del funnel dei pirati mira invece a creare notorietà e consapevolezza solamente nei confronti delle persone giuste.
Metriche da tenere d’occhio in questo momento sono quindi il CTR, il tempo medio trascorso dagli utenti sul sito, numero di visitatori unici e le “vanity metrics” (numero di mi piace, commenti, condivisioni).
I canali su cui lavorare sono invece SEO, contenuti, SEA, passa parola, retargeting ed affiliazioni.
Acquisition
La fase di Acquisition è il momento delle presentazioni tra la tua azienda ed un potenziale cliente.
Dopo aver sentito parlare di te gli utenti sono giunti sul tuo sito web, sulla tua landing page o magari su una pagina prodotto ed iniziano ad effettuare interazioni di vario genere che in ogni caso li portano a lascarti il proprio indirizzo e-mail e magari qualche informazione su di loro.
Dopo aver acquisito un buon numero di utenti sarebbe utile iniziare ad effettuare una profilazione degli stessi dividendoli per segmenti simili. Un’operazione di questo tipo è particolarmente consigliata se pianifichi di utilizzare il marketing automation.
Le metriche da controllare nella fase di Acquisition sono il numero di nuovi lead, il numero di registrazioni alla newsletter e qualsiasi attività ti permetta di acquisire indirizzi e-mail.
I canali da utilizzare sono invece landing page, moduli per le sottoscrizioni, webinar, promozioni e free giveaway
(e-book, whitepaper, case study ecc.)
Activation
Le modalità in cui si esplicita l’Activation dipendono molto dalla natura del tuo business, ma possiamo riassumerlo come il momento in cui i tuoi clienti provano per la prima volta il tuo prodotto.
Rientrano ad esempio in questa fattispecie il download di una versione freemium di un app o la prova gratuita di un software per un certo numero di giorni.
Di conseguenza le metriche che vorrai tenere controllare sono tutte quelle relative al numero di registrazioni alla versione di prova del tuo prodotto, investendo molto in user experience e customer success.
Revenue
Questo è momento in cui i tuoi lead divengono finalmente clienti dopo aver effettuato il loro primo acquisto.
La cosa fondamentale da ricordare in questa fase prima di ogni altra cosa è che il tuo lavoro è tutt’altro che terminato.
Infatti, è molto meno costoso portare un attuale cliente a ripetere un acquisto, che cercare di acquisirne nuovi clienti.
Le metriche da controllare sono quindi il CPA (cost per Acquisition), il numero di utenti che passano dalla versione freemium a quella premium, il numero di carrelli abbandonati, mentre canali su cui lavorare sono ancora una volta la user experience ed il processo di checkout.
Retention
L’obiettivo ora è fare in modo che i tuoi clienti tornino a visitarti. Non è certo una cosa facile, ma tutto dipende dal modo in cui hai curato tutte le fasi precedenti.
I maestri da cui apprendere in questo senso sono quelli di Amazon, che fanno un sapiente utilizzo del marketing automation.
Devi riuscire a mantenere alto il livello di engagement è soddisfazione dei tuoi attuali clienti attraverso una comunicazione personalizzata e l’offerta di sconti e promozioni nel corso del tempo legate agli acquisti passati.
Se implementerai con attenzione anche il momento di Retention, allora avrai tutte le carte in regola per dare il via alla fase di Referral.
Referral
Quando i clienti sono contenti e soddisfatti del tuo prodotto, saranno maggiormente propensi non solo a tornare a fare acquisti da te, ma anche a parlare della tua azienda con i propri parenti e amici attivando per te la fase di Awareness.
Il word of mouth (passa parola) è di conseguenza uno degli strumenti di customer acquisition più importanti su cui focalizzarsi.
Immagina che il 70% dei consumatori afferma di essere spesso influenzato positivamente da raccomandazioni ricevute da conoscenti.
Per implementare la fase di Referral alcune strategie di growth hacking potrebbero prevedere l’utilizzo di strumenti di condivisione e di social sharing, codici promozionali, link di affiliazione e l’offerta di incentivi di vario genere proprio come fanno i vari Airbnb, Uber e Dropbox.
Qui una rappresentazione visuale del funnel dei pirati.
Un aspetto molto interessante di questa immagine è la differenza sostanziale tra marketing tradizionale e growth hacking. Se infatti nel marketing classico ci si occupa principalmente di creare la notorietà del brand ed acquisire nuovi clienti, i growth hacker sono attivi dall’inizio alla fine nel ciclo di acquisizione e gestione dei clienti. Affronteremo queste differenze maggiormente nel dettaglio nel prossimo paragrafo.
Il funnel del pirata può di conseguenza essere uno strumento di marketing tanto utile, quanto potente.
Come abbiamo detto che le modalità in cui questo va a concretizzarsi nella realtà variano a seconda del business a cui viene applicato.
Se ad esempio gestisci un magazine online potresti ad esempio essere interessato al numero di visitatori mensili, il tempo medio trascorso sul sito ed il numero di iscrizioni alla newsletter; se hai lanciato da poco una nuova app potresti voler guardare al numero di download effettuati, mentre se sei una web agency sarai interessato ad analizzare quante richieste
di preventivo hai ricevuto nell’ultimo mese e quante persone hanno scaricato il tuo ultimo e-book.
La cosa fondamentale è assegnare sempre una KPI, ossia una metrica chiave per ogni fase e farlo nella maniera corretta al fine di comprendere se tutti gli step stiano funzionando nella maniera giusta.
North Star Metric e KPI
Ogni tipologia di business dovrebbe avere una metrica di riferimento, altrimenti detta “North Star Metric”. Per individuarla dovresti focalizzarti su tutte quelle attività chiave che meglio sintetizzano e legano gli utenti al tuo prodotto.
Ad esempio per Facebook alcune metriche fondamentali sono il numero richieste di amicizia inviate dai propri utenti, quanto spesso questi visitano il sito, quanto tempo vi passano e quanto sono attivi in termini di mi piace e commenti.
Per Uber invece le KPI principali sono il numero di corse effettuate, ma vengono tenuti sotto controllo il numero di download dell’app ed il numero di utenti che dopo la prima corsa utilizzano nuovamente Uber e con quale frequenza.
Come puoi trovare quindi la tua North Star Metric?
Semplice, basta capire che tipo di valore ottengono i tuoi clienti più fedeli dall’utilizzo del tuo prodotto.
Una volta fatto questo dovresti riuscire a quantificare questo valore in una metrica di riferimento.
Riuscire quindi ad ottenere una NSM può essere fondamentale per fare in modo che dipartimenti diversi come quello marketing, vendite e customer service lavorino congiuntamente ed al meglio per apportare ancora più valori agli utenti.
La tua metrica di riferimento si baserà probabilmente su alcune variabili base come il numero di registrazioni, user retention e user engagement.
Comprendere come ognuna di queste variabili funziona e come influenzano il tuo conversion rat potrebbe fornirti delle interessanti opportunità ed idee per implementare ancora di più la crescita della tua azienda.
Il growth hacking come processo
Credo che ormai sia evidente come il growth hacking sia un processo che persegue il miglioramento continuo.
Allo stesso tempo questo processo deve essere rapido ed efficiente in termini di sostenibilità dei costi, soprattutto se adottato da realtà piccole come le startup.
Non ci sono quindi ne trucchi o magie, ma solamente un mindset analitico e creativo utilizzato per sperimentare quanti più approcci e strategie possibile, misurarne i risultati e migliorare dove possibile.
Il processo di growth hacking si esplica in un ciclo che deriva dall’approccio Lean Startup.
Questo ciclo consta di tre momenti fondamentali:
Tutto il processo di growth hacking quindi ruota attorno a questi tre momenti chiave.
Risulta evidente come sia poi di grande importanza l’analisi dei dati ed il perseguimento di un miglioramento continuo.
Per questo motivo ogni strategia, esperimento o tecnica di growth hacking deve avere tre caratteristiche e poter essere:
- Scalabile
- Ripetibile
- Misurabile
Essere scalabile vuol dire che se ha funzionato una volta, dovrebbe poter funzionare anche le volte successive;
di conseguenza deve anche poter essere ripetibile, nel senso che quell’esperimento non è stato legato al caso, alla fortuna o alla dea bendata; con il termine misurabile andiamo a ripetere quanto detto diverse volte sin qui, ovvero che i dati devono essere il punto di partenza per ogni tipo di attività, in modo da basare ogni nostra decisione su motivazioni concrete.
Ora, passando ad aspetti maggiormente pratici vi sono alcuni pre-requisiti di cui devi necessariamente tenere conto:
Business Model Canvas
Forse ti starai chiedendo: “cos’è un Business Model Canvas?”
Si tratta di un modello di business che puoi utilizzare per definire la struttura della tua azienda ed avere una panoramica completa.
In questo modello vengono riportati quindi i partner principali, le attività chiave, le fonti principali di ricavi e costi, il value proposition, i canali che intendi utilizzare, i segmenti di clienti target e le relazioni con gli stessi.
Un bel po’ di roba in effetti, che però dovresti validare almeno all’80% prima di iniziare un qualsiasi processo di growth hacking.
Value Proposition Canvas
Cosa vuol dire invece “Value Proposition Canvas“?
Questo è un aspetto che concettualmente viene subito dopo il Business Model Canvas. In poche parole in questa fase vuoi assicurarti che il tuo prodotto/servizio risponda veramente ad un bisogno o ad un esigenza specifica delle persone.
Personas e Segmenti di clienti
Questo terzo momento si ricollega ad uno dei punti chiave del Business Model Canvas ovvero i nostri utenti target e buyer personas.
È quindi davvero importante che tu abbia chiaro in mente chi sia il tuo pubblico di riferimento ed interesse.
Infatti, se sarai in grado di conoscere veramente gli utenti a cui vuoi rivolgerli sarai anche in grado di capire quali possano essere i canali maggiormente efficaci per entrarci in contatto.
Growth Process
Una volta aver risposto adeguatamente a questi tre pre-requisiti sarai pronto per intraprendere un processo di growth hacking.
All’inizio di questo processo abbiamo l’ormai famosissimo funnel dei pirati che abbiamo visto nel dettaglio qualche paragrafo fa. Occorre quindi definire con attenzione le 6 fasi del customer journey (Awareness, Activation, Acquisition, Retention, Referral, Revenue) attraverso cui guiderai l’utente.
Successivamente passiamo al secondo step, quello dell’OMTM (One Metrict That Matters), che altro non è che un modo diverso di definire la North Star Metric che abbiamo introdotto sempre poco fa.
Fatto questo potrai iniziare a mettere in pratica il ciclo del processo di growth hacking illustrato all’inizio del paragrafo: build, measure, learn.
Come?
- Dovrai partire inizialmente con una fase di brainstorming assieme al tuo team per trovare quante più idee possibili;
- Successivamente vorrai selezionare queste idee e dare priorità a quelle che potenzialmente potrebbero portare i maggiori risultati;
- Il terzo momento sarà quello di sperimentazione in cui metterai in pratica le migliori idee e vedrai se riveleranno un flop o avranno successo;
- Dopo aver condotto i tuoi esperimenti avrai modo di analizzarne le performance attraverso una grand quantità di dati che dovresti aver raccolto;
- Attraverso un’attenta analisi dei dati potrai capire se i tuoi esperimenti sono stati un completo fallimento o se hanno del potenziale su cui investire. In ogni caso imparerai una lezione importante che ti permetterà di migliorare il tuo prodotto in futuro.
A questo punto non ti resta che ricominciare nuovamente il tuo processo di growth hacking finche non raggiungerai un soddisfacente livello di perfezione. 😉
Le migliori strategie di growth hacking
In questa introduzione al growth hacking abbiamo sottolineato come questo modo di fare marketing sia particolarmente utilizzato tra le startup.
Il motivo è relativo al fatto che queste realtà cercano di perseguire la propria crescita e l’acquisizione di utenti in maniera veloce.
Infatti, occorre capire che la maggior parte di queste aziende non possono di certo permettersi campagne pubblicitarie in prima serata su Canale5 (che diciamocela tutta non finiscono mai) o quel cartellone pubblicitario al centro di Roma.
– Che poi sarò onesto…ogni volta che vedo questo tipo di pubblicità l’unica cosa che mi viene in mente è: “quanti soldi buttati!” –
Per questo motivo le startup si trovano spesso a dover escogitare forme di marketing alternative, non tradizionali, al fine di acquisire utenti.
Lo scopo di queste strategie non è poi tanto legato all’awareness, ma quanto al cercare di raggiungere solamente quelle persone potenzialmente interessante al proprio business.
Ergo: non tutte le persone, ma solamente le persone giuste.
Ecco quindi che iniziano a nascere le strategie di growth hacking: dei trucchetti o delle strategie utilizzati dalle startup al fine di raggiungere utenti in una maniera che sia allo stesso tempo altamente efficace ed efficiente.
Vediamo le 5 strategie di growth hacking più famosi di tutti i tempi!
The Little Bighorn
Questa strategia prende il nome dall’omonima battaglia di Little Bighorn combattuta durante le guerre indiane.
Venne utilizzata da Facebook quando questo social network era ancora agli inizi.
Questo hack si basa sull’idea che se il tuo target audience è difficile da raggiungere, invece di “affrontarlo” in maniera diretta, potresti pensare di focalizzarti su mercati più piccoli, ma connessi al mercato principale di tuo interesse.
Quando Facebook iniziò la propria espansione all’interno di scuole e college americani si interfacciò con il problema che alcuni di essi avevano già un proprio social network interno.
Quello che fecero fu quindi di rivolgersi alle scuole più piccole nelle vicinanze in cui era probabile che studiassero alcuni amici degli studenti delle scuole target principali.
Quindi lavorando con questa sorta di tecnica di “accerchiamento” che si basa sul concetto della social proof riuscirono a perseguire i proprio obiettivi.
Infatti, una volta che tutti i tuoi amici sono su Facebook e tu sei l’unico che ancora utilizza l’altro social network il passaggio avviene quasi in maniera automatica.
La lista d’attesa
A volte potrebbe capitare che il tuo prodotto sia così cool che momentaneamente non riesci a far fronte a tutti gli utenti che vogliono registrarsi.
Correndo anche il rischio di mandare tutto all’aria qualora permettessi la registrazione di massa.
In questo caso potresti pensare di mettere gli utenti in lista d’attesa.
Una tecnica di questo tipo venne utilizzata da Mailbox.
Al tempo quindi gli utenti, dopo aver scaricato l’app, visualizzavano una lista d’attesa che gli diceva quanti utenti ci fossero prima di loro.
Anche questo hack si basa sul concetto di social proof, dato che mostra agli utenti quante altre persone vogliono utilizzare l’app.
Nel caso di Mailbox questo alone di mistero fece in modo che si creasse intorno a questa strategia un bel buzz.
Molti giornali quindi parlarono della cosa e ancora più persone si registrarono alla lista d’attesa.
Il cross post
Questa credo sia una delle pratiche davvero più popolari e semplici da utilizzare.
Si basa semplicemente con l’integrazione del proprio servizio, app o prodotto con i maggiori social media.
Questo con lo scopo che gli utenti possano postare un contenuto ad es. su Facebook menzionato il tuo prodotto.
Un qualcosa di questo tipo è stato utilizzato di recente da Spotify e prima ancora da Airbnb ed Instagram.
Il By The Way
Qualsiasi business è solito presentare il proprio logo e nome dell’azienda nella parte superiore del sito web, dell’app, del software, dell’articolo del blog ecc.
Ma potrebbe essere utile auto menzionarsi anche altrove.
Una cosa del genere venne fatta al tempo da Hotmail attraverso una delle prime strategie di growth hacking della storia che poi portò questo servizio di posta elettronica gratuita al successo che perdura ancora 20 anni dopo.
Il meccanismo è semplice.
In fondo ad ogni e-mail inviata tramite Hotmail veniva aggiunto questo piccolo messaggio:
“PS: ti voglio bene, registra il tuo account e-mail gratuito su Hotmail”
Grazie a questo giochetto Hotmail vide 12 milioni di utenti registrarsi nel corso dei 18 mesi successivi.
Non male direi.
Una cosa simile viene fatta da Apple quando si invia un’e-mail tramite iPhone.
In pratica si fa in modo che gli utenti attuali pubblicizzino il nostro prodotto tra i loro amici, conoscenti o colleghi.
Il tutto in maniera gratuita.
Il Back Scratch
Tra le più famose strategie di growth hacking c’è poi il “Back Scratch”.
Letteralmente la grattatina alla schiena.
In poche parole l’obiettivo è quello di incentivare gli utenti attuali ad inviare i propri amici a registrarsi al nostro servizio.
Questo offrendo un qualcosa in cambio sia a loro stessi, sia ai nuovi utenti che si registreranno tramite loro.
Attualmente questo hack è molto in voga, ma i primi ad implementarlo furono quelli di PayPal.
PayPal, infatti, quando era agli stadi iniziali della propria crescita ebbe l’idea di offrire $10 ad ogni utente che invitava un proprio amico a registrarsi a cui sarebbero stati accreditati similmente 10$.
Una tecnica costosa, ma che portò i suoi risultati in termini di crescita di utenti.
Costosa si, ma meno del CPA di altre campagne di advertising su Internet o tramite link di affiliazione.
Anche altre aziende utilizzarono poi la stessa strategia, tra esse ad esempio Airbnb, Uber e Dropbox.
Quest’ultimo però invece di un premio monetario offriva spazio gratuito.
E tu conosci altre strategie di growth hacking? Faccelo sapere ed aggiornerò la lista 😉
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Storie di successo sul growh hacking
Da quando questo termine ha iniziato ad acquisire popolarità sono davvero numerose le storie di successo e i casi di studio disponibili su questo argomento. Vediamone alcune.
Airbnb
Forse quella più famosa è la storia di Airbnb che sfruttando una falla nel sito web di Craiglist, un competitor diretto, riuscì ad acquisire un notevole numero di nuovi utenti.
Questo strategia molto ingegnosa sarebbe però stata impossibile se non fosse stata implementata da marketer con conoscenze di programmazione.
Questo hack funzionava così: quelli di Airbnb avevano inizialmente difficoltà ad acquisire nuovi utenti e così decisero di volgere i propri interessi a quelli presenti su Craiglist. Questo sito si presentava abbastanza bruttino dal punto di vista del design, ma soprattutto presentava una falla nel proprio codice.
Sfruttando quindi questo aspetto il team di Airbnb trovò il modo di far sì che ogni annuncio pubblicato su Airbnb venisse automaticamente pubblicato anche su Craiglist. Una volta che però un utente di Craiglist cliccava sul pulsante “prenota” veniva quindi reindirizzato al sito di Airbnb.
In secondo luogo già al tempo Airbnb si presentava come un sito molto accattivante nel design e nella qualità delle foto degli annunci postati. Di conseguenza ogni utente che da Craiglist si trovava catapultato su Airbnb non ci mise molto ad accorgersi della differenza e ad eseguire uno “switch”.
Ci sono poi altri due casi interessanti sempre relativi ad Airbnb da prendere in considerazione.
Il primo è quello relativo alla decisione di assumere quasi 6000 fotografi freelance per fotografare quanti più appartamenti possibili e questo al fine di investire in qualità e design.
La scelta fu rischiosa, ma soprattutto costosa.
Tuttavia, come puoi vedere da questo grafico, dal momento in cui implementarono questa strategia le prenotazioni aumentarono più del doppio!
Il secondo invece riguarda una sorta di A/B testing condotto per valutare qualora un approccio umano funzionasse meglio degli annunci sponsorizzati nell’atto di entrare in un nuovo mercato.
Al termine dell’esperimento fu evidente come un approccio umano caratterizzato dall’organizzazione di eventi e da un contatto diretto con gli host fosse maggiormente efficace e presentasse un CPA molto più basso rispetto a quello delle campagne sponsorizzate.
Inoltre, quei mercato “aggrediti” con una simile strategia hanno continuato a crescere anche in maniera più veloce.
Netflix
Il caso Netflix contrariamente a quello di Airbnb è senza dubbio meno menzionato, ma altrettanto interessante soprattutto in un ottica di data-driven marketing.
Netflix, come risaputo, pone una grandissima attenzione ai gusti ed alle preferenze dei propri utenti al fine di fornire sempre l’esperienza migliore e massimizzare il livello di engagement.
Proprio al fine di perseguire questo obiettivo ad esempio è stata presa la decisione di rilasciare le serie targate Netflix tutte insieme e non un episodio alla volta. L’idea dietro questa decisione è quella di dar vita ad una sorta di “chiusino” degli utenti.
Per quanto riguarda il discorso di un sapiente utilizzo dei dati nell’atto di implementare strategie ed investimenti il caso è questo.
Il team di Netflix qualche anno fa notò come quelle serie e film di genere politico/drammatico in cui figurava Kevin Spacey fossero particolarmente apprezzate e di successo tra i propri utenti.
Sulla base di questo insight venne quindi presa la decisione di dare il via alla produzione di House Of Cards che si è rivelata poi essere una delle serie di maggior successo di sempre e di cui al momento sono state prodotte ben cinque stagioni.
Credo che non molti di voi sapranno che inizialmente il nome di Instagram era Burbn.
L’idea di base che portò poi al lancio di Burbn. Questa infatti voleva inizialmente presentarsi come una social app di photo sharing il cui pezzo forte dove essere la geo-localizzazione e che tra le tante funzionalità offriva la possibilità di aggiungere dei filtri alle foto condivise.
Dopo aver lanciato l’app tuttavia apparve dai dati come gli utenti fossero principalmente interessati solamente ad un unica funzione, ovvero proprio quella dei filtri.
Da qui la decisione di rimuovere tutte le funzioni lasciando solo quelle relative alla pubblicazione di foto, filtri , commenti e like.
L’app di Burbn venne quindi rivoluzionata e lanciata in una nuova versione sotto il nuovo nome di Instagram.
La decisione di passare da quello che inizialmente era un MVP ad un PMF affidandosi all’analisi dei dati fu pienamente azzeccata dato che poco dopo aver attuato questi cambiamenti Instagram divenne un app di assoluto successo tant’è che venne acquisita poco dopo per un miliardo di dollari da Facebook.
Questo secondo me è un caso su cui occorre soffermarsi a riflettere.
Infatti, la storia delle origini di Instagram oltre ad essere un’altro ottimo esempio che ci fa comprendere l’importanza dei dati è soprattutto un caso emblematico che mostra come non sempre quello che noi pensiamo possa essere un prodotto super fico poi sarà percepito allo stesso modo dai nostri clienti.
Di conseguenza analizzare i dati ed il modo in cui i nostri utenti utilizzano il nostro prodotto è assolutamente fondamentale nell’ottica del perseguimento del PMF.
Libri di growth hacking
Attualmente, dal punto di vista bibliografico, il tema del growth hacking non presenta un grandissimo numero di letture.
Tuttavia, qualora volessi approfondire maggiormente il tema sul growth hacking oltre a continuare a leggere il nostro blog (ovviamente) puoi dare uno sguardo a questo articolo dove ho raccolto i migliori libri sul growth hacking. 😉
Tuttavia, se dovessi selezionare qualche libro particolarmente “must read” ti suggerirei Lean Startup, Lean Analytics, Growth Hacker Marketing, Hacking Growth e Pre-Suasion. Questi sono i miei preferiti! 😀
Corsi di growth hacking
Proprio come per il discorso dei libro in Italia anche i corsi sul growth hacking scarseggiano.
A mio modo di vedere in Europa i migliori corsi sono quelli della Growth Tribe che vengono svolti sia a Londra che ad Amsterdam.
Se proprio non vuoi andare all’estero, o se magari non parli molto l’inglese, una buona soluzione potrebbero essere i corsi di Tag Innovation School. La Tag School ha sedi sia a Roma che a Milano quindi potrebbe tornarti più comoda.
Se invece sei alla ricerca di una soluzione più soft posso fornirti anche in questo caso un paio di alternative anche se in Inglese.
Se ti piace l’idea di un corso gratuito sul growth hacking allora potrebbe piacerti ancora di più l’idea di una libreria di corsi gratuiti. Per accedervi non devi far altro che compilare il modulo verde che trovi in alto o cliccare qui.
I corsi sono in Inglese, ma comunque gratuiti quindi magari puoi fare un tentativo.
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